CNR, OGS e INGV protagonisti nella ricerca di frontiera in Artico con il Progetto Arca, finalizzato a comprendere meglio il sistema climatico e i suoi cambiamenti, investigando gli eventi estremi del passato per poter prevedere quelli del futuro.
Risale a circa 14mila anni fa, l'ultima grande fusione della calotta glaciale artica, che ha causato l'immissione negli oceani di grandi volumi di acque fredde e dolci, alterando la circolazione oceanica e innescando uno sconvolgimento climatico e ambientale fino alle zone tropicali.La conferma arriva dalle ricerche nell'ambito del Progetto Arca (ARctic: present Climate change and pAst extreme events). Lo studio, finanziato dal MIUR, ha visto impegnati il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in qualità di coordinatore, l'Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), e l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
L'obiettivo è comprendere meglio i meccanismi che regolano la fusione della calotta polare artica e il flusso di acqua di fusione glaciale negli oceani, in quanto importanti fattori capaci di forzare i cambiamenti climatici.
"A partire da 20mila anni fa, durante l'ultima deglaciazione, questi cambiamenti nella circolazione oceanica hanno causato fasi di raffreddamento nel Nord Europa. Fino ad allora, la calotta glaciale occupava tutto il Mare del Nord, e si estendeva fino all'Europa settentrionale. Sciogliendosi ha alterato l'equilibrio ambientale dando origine a periodi particolarmente freddi."
"Le acque di fusione glaciale hanno causato anche il trasferimento di grandi quantità di sedimenti e repentini innalzamenti del livello globale degli oceani. Come l'imponente evento avvenuto 14mila anni fa: nelle aree tropicali, le scogliere coralline hanno registrato un aumento di circa 20 metri del livello del mare, nell'arco di soli 340 anni."
"Per la prima volta, abbiamo trovato l'evidenza di quel catastrofico evento nei registri geologici delle aree polari", spiegano Michele Rebesco e Renata G. Lucchi, dell'OGS, che hanno coordinato le attività del progetto rivolte a ricostruire con accuratezza gli eventi estremi di scioglimento dei ghiacciai artici, attraverso indagini oceanografiche, geofisiche e geologiche a bordo della nave "OGS Explora" e altre navi di ricerca straniere.
"I meccanismi che regolano la fusione della calotta polare artica e il flusso di acqua di fusione glaciale negli oceani sono molto complessi, e la loro comprensione richiede l'integrazione di competenze multidisciplinari", illustra Stefano Aliani, oceanografo del CNR, che ha coordinato l'integrazione delle attività portate avanti dai diversi gruppi di ricerca.
"Il confronto tra i risultati ottenuti attraverso le osservazioni del presente e quanto ricostruito per il passato, permette di verificare i punti di forza e quelli deboli dei modelli sviluppati".
"L'interazione tra gli oceani e i grandi ghiacciai di sbocco nelle regioni polari contribuisce al bilancio globale del livello marino", spiega Stefania Danesi, geofisica dell'INGV. "Attraverso lo studio dei dati sismici raccolti dalla rete sismica regionale GLISN (GreenLand Ice Sheet monitoring Network), è possibile osservare eventi di distacco di grandi iceberg."
L'Artico si sta riscaldando più rapidamente di qualsiasi altro luogo sulla Terra, e questo si traduce in un altrettanto rapido cambiamento ambientale. In particolare negli ultimi anni, appare evidente un'accelerazione dei cambiamenti, al punto che la possibilità che si ripetano eventi estremi non è più un'ipotesi remota.
La piena comprensione del sistema climatico e delle forzanti che lo guidano è condizione essenziale per potere prevedere realistici scenari a breve e medio termine.
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