L'ingegneria genetica, in medicina, trasforma microrganismi e piante in reattori per produrre farmaci e vaccini. Ma la ricerca italiana, in questo campo, è bloccata da leggi inadeguate, che danneggiano anche l'economia.
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Da allora, tanti altri farmaci e vaccini sono stati ottenuti nello stesso modo. Anche nel nostro paese, diversi enti pubblici di ricerca, come il CNR e l'ENEA, svolgono studi sugli OGM. Eppure, nonostante le grandi potenzialità di questo campo, la ricerca si blocca spesso alla fase sperimentale in laboratorio.
Infatti, le leggi italiane sono severe e restrittive nei confronti degli OGM, perché applicano il principio di precauzione: l'assenza di prove non è una prova dell'assenza di effetti collaterali per la salute e l'ambiente. E qui sta il problema: provare l'assenza di qualcosa è un paradosso scientifico.
È ammessa, invece, la circolazione di farmaci o campioni di OGM prodotti all'estero. In parole povere, possiamo acquistare e utilizzare farmaci prodotti con queste tecniche in altri paesi, ma non possiamo produrceli noi.
In Italia, il sentimento diffuso di diffidenza nei confronti degli OGM sembra ormai consolidato, per quanto riguarda i prodotti agro-alimentari. Le tecniche impiegate per uso medico, purtroppo, seguono lo stesso destino, spesso per semplice mancanza di conoscenza del problema, o perché si fa di tutta l'erba un fascio.
In questo quadro legislativo, le ricerche del CNR si fermano alla pubblicazione scientifica dei modelli sperimentati in laboratorio. Questo perché non dispone delle strutture adeguate necessarie per rispettare la legge, come le costose serre di contenimento per la coltivazione delle piante GM. In Italia, le loro scoperte non si trasformeranno mai in farmaci.
L'ENEA, invece, ha a disposizione le serre, ma le sue ricerche si fermano comunque prima della sperimentazione clinica. Qual è il motivo, in questo caso? Le aziende farmaceutiche italiane non sono interessate a portare avanti ricerche che durano anni e anni, a causa dei controlli molto rigidi, per poi vedersele bloccare a metà percorso da leggi sempre più restrittive. Come dargli torto?
Al momento, l'unica soluzione possibile, per queste ricerche, è brevettarne i risultati. Vendere o dare in licenza il brevetto ad una casa farmaceutica nazionale, estera o multinazionale sembra un'alternativa migliore al tenere un vaccino o un farmaco che funziona chiuso in un cassetto.
Ma, al contrario di quello che alcuni pensano, gli scienziati non amano brevettare le loro scoperte: i brevetti rallentano il progresso scientifico, perché bloccano lo scambio di informazioni e conoscenze. Si vedono costretti a farlo da un sistema che danneggia sé stesso.
Lo Stato italiano finanzia progetti per migliorare le conoscenze mediche e produrre risultati che portino a farmaci o vaccini. Lo stesso Stato, però, blocca la ricerca che ha sovvenzionato, costringendo ricercatori ed enti di ricerca a vendere i brevetti all'estero, dove le scoperte fatte in Italia verranno usate per creare farmaci e vaccini. Indovinate un po'? Saranno gli stessi che l'Italia dovrà acquistare.
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