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Clima e monumenti

L'Italia può vantare la comunità scientifica più preparata al mondo nello studio della conservazione del patrimonio culturale. Ma i cambiamenti climatici all'orizzonte costringono ad un impegno ancora maggiore.

Piazza del Duomo a Lecce
Immagine di pubblico dominio
C'è un campo in cui la strategia italiana di adattamento ai cambiamenti climatici spicca: è l'unica ad affrontare a fondo la salvaguardia dei beni culturali, nonostante sia tutt'altro che facile.

"È un patrimonio molto vario per materiali, tipi di strutture e contesti, dal legno nel museo alla statua di metallo nel centro storico o nell'area archeologica. E, sebbene gli scienziati in Italia si occupino di conservazione da decenni, la ricerca in chiave di adattamento ai cambiamenti climatici è solo agli inizi", spiega Cristina Sabbioni, direttore dell'ISAC-CNR (Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima).

Restano molte lacune. I modelli climatici non sono abbastanza dettagliati. Inoltre, non si conoscono le funzioni di danno, cioè gli algoritmi che quantificano il degrado di materiali e strutture, in funzione dei parametri meteo-climatici e di qualità dell'aria.

Cosa cambierà?
Non sono tanto le temperature a preoccupare, quanto il ciclo dell'acqua. La buona notizia è che gli episodi di gelo-disgelo diminuiranno, ma non ce ne sono altre. I danni delle alluvioni saranno molto gravi, su un patrimonio fragile e, soprattutto, non rinnovabile.

La crescita dell'umidità relativa, in Europa, danneggerà in particolare i materiali organici, come legni e carte, e modificherà il biodegrado causato dai microrganismi. Inoltre, dove pioverà meno, diminuirà il dilavamento delle particelle carboniose da combustione: sono quelle che anneriscono le superfici di statue ed edifici nelle aree urbane.

A causa delle precipitazioni e dell'aumento di anidride carbonica, cambierà anche la recessione superficiale di marmi e calcari, dovuta alla dissoluzione del carbonato di calcio. Al sud, il fenomeno è destinato a diminuire, mentre si prevede in crescita nelle aree più interessate dalle precipitazioni, in particolare le catene montuose, con un aumento del 30 % rispetto al periodo di riferimento 1961-1999.

Facciata della Chiesa di Santa Croce, Lecce
Immagine di pubblico dominio
Aumenteranno anche i cicli di cristallizzazione dei sali, per due motivi: le efflorescenze visibili sulle superfici e gli stress maccanici nei pori dei materiali lapidei, come le arenarie di Bologna o i calcari del sud. Questo ne causerà la disgregazione, specie per opere in cui la decorazione di superficie contiene tutto il valore aggiunto, ad esempio quelle del barocco leccese.

Un altro fattore, fonte di grande preoccupazione, è il cloruro di sodio. Soprattutto in un paese che è denso di opere sulle coste., probabilmente è il killer numero uno.

Su cosa puntare
Le strategie di adattamento partono dal diffondere le conoscenze in materia, ancora poco note fra chi è preposto alla gestione del patrimonio. Poi andranno monitorate le variabili climatiche di rilievo. L'ISAC-CNR sta potenziando osservatori permanenti, che misurano le variabili meteo e i composti climalteranti, in aree rappresentative del Mediterraneo (Lecce, Lamezia Terme e Capo Granitola), e al Museo di Capodimonte.

Per quanto riguarda gli interventi, non c'è bisogno di grandi restauri una volta al secolo, ma di una manutenzione ordinaria costante. E, per quanto sia doloroso, con risorse limitate bisogna scegliere dove intervenire prima: andranno valutate le priorità in base allo stato di conservazione, al rischio, al valore ambientale, economico e sociale dei beni.

"Si può iniziare anche dal formare maestranze, per salvaguardare le competenze tradizionali su tecniche non più in uso, che rischiamo di perdere. Un paradosso per il Paese con la comunità scientifica più preparata al mondo nello studio del degrado del patrimonio, in interni ed esterni, per ogni tipo di materiale, struttura e contesto ambientale".

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