In ogni programma di riduzione del riscaldamento globale, la tecnologia di cattura del carbonio ha un ruolo importante, ma su di essa pesano molte incertezze.
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Le centrali elettriche a carbone sono la fonte principale di emissioni di CO₂ nel mondo, perché i paesi più inquinanti basano gran parte della propria produzione elettrica su questo tipo di centrale. E pochi sono disposti a smettere di bruciarlo. Se non chiudono le centrali, il solo modo in cui questi paesi possono rispettare gli impegni presi durante la COP21 è impedire alla CO₂ di finire in atmosfera.
Ecco quindi che è facile capire perché la tecnologia CCS sia cruciale. Il problema è che si tratta di una soluzione molto costosa. La tecnologia di per sé sembra funzionare, ma i costi di costruzione e funzionamento di un impianto su scala reale finora restano molto elevati.
E poi, c'è la questione di che cosa fare con la CO₂ sequestrata. Infatti, seppellirla nel sottosuolo in formazioni geologiche in grado di trattenerla per migliaia di anni farebbe lievitare ulteriormente i costi, e chi sarà disposto a pagare il conto? Per recuperare gli investimenti, i proprietari delle centrali dovrebbero aumentare le tariffe elettriche ben oltre i livelli attuali.
In realtà, ci sono dei clienti che potrebbero usare molta anidride carbonica e che sono abbastanza ricchi per pagarla: le aziende petrolifere. Loro hanno bisogno di grandi quantità di CO₂ da pompare nel sottosuolo, per forzare il petrolio a uscire da pozzi che altrimenti si esaurirebbero.
Ma c'è una contraddizione, non vi pare? Ha senso catturare anidride carbonica, solo per poi usarla per ottenere altri combustibili fossili da bruciare?
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Nel 2015, il Department of Energy degli Stati Uniti ha cancellato FutureGen, il suo progetto di punta in collaborazione con le industrie del settore, che avrebbe dovuto ristrutturare una vecchia centrale a carbone in Illinois, dopo aver speso 1,65 miliardi di dollari. La Cina ha modificato GreenGen, il suo progetto bandiera della tecnologia CCS: la centrale è in funzione e produce energia, ma senza catturare CO₂.
Secondo il Global Carbon Capture and Storage Institute, dal 2010 in tutto il mondo sono stati cancellati 33 progetti di CCS, che nella maggior parte dei casi hanno bruciato centinaia di milioni di dollari prima di fallire. Oggi, ci sono solo 15 progetti CCS in funzione, e qualche altro in costruzione. Tutti con costi di studio, progettazione e realizzazione di miliardi di dollari.
In assenza di norme che impongano la cattura del carbonio, o di una tassa sulle emissioni di carbonio a cui le compagnie elettriche abbiano interesse a sfuggire, le stesse aziende hanno pochi motivi, dal punto di vista finanziario, per interessarsi a questa tecnologia. L'India, uno dei maggiori inquinatori insieme a Cina e Stati Uniti, a Parigi ha dichiarato di voler costruire ancora molte centrali a carbone: a causa dei costi, è improbabile che questi nuovi impianti saranno dotati di tecnologie CCS.
Comunque, anche se i costi per la cattura della CO₂ dovessero diminuire, quelli per lo stoccaggio potrebbero restare troppo alti. Molte delle oltre 600 centrali a carbone degli Stati Uniti non sono affatto vicine a formazioni geologiche in grado di trattenere la CO₂ sotto terra. E molte sono lontane anche dai circa 1600 campi petroliferi che potrebbero riutilizzarla. Perciò, ci vorrebbero gasdotti lunghi e costosi, e stazioni di compressione.
Al momento, la CCS costa molto di più che bruciare carbone e basta. E questo potrebbe rendere impossibile lo sviluppo della tecnologia necessaria, in un mondo in cui non viene dato un prezzo a questo inquinamento.
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