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Come sta messa la ricerca pubblica in Italia?

L'Italia investe meno di altri Paesi in Ricerca e Sviluppo e ha meno ricercatori in rapporto alla popolazione. Ma la ricerca pubblica è in buona salute per pubblicazioni su riviste eccellenti. I dati sono stati presentati ad un incontro organizzato dalla Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.

Ricercatore scientifico
Immagine di pubblico dominio
La ricerca pubblica come volano di sviluppo socio-economico, oltre che scientifico e culturale. La ricerca di enti e università come esempio di trasparenza nella pubblica amministrazione. La necessità di aumentare il capitale umano della ricerca come interesse anche finanziario del Paese.

Questi i temi affrontati il 13 febbraio scorso, nell'incontro su "La ricerca pubblica italiana: risultati, obiettivi e risorse", organizzato dalla Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca e dalla CRUI - Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, con i rispettivi presidenti: Massimo Inguscio, Presidente del CNR, e Gaetano Manfredi, Rettore dell'Università degli Studi di Napoli Federico II.

Durante l'incontro sono stati presentati dati utili per rappresentare risorse, risultati, impegni e obiettivi che enti di ricerca e università intendono perseguire a servizio del Paese, anche attraverso una sempre più solida collabrazione tra di loro. I più recenti dati sullo stato della ricerca pubblica confermano il quadro generale degli ultimi anni.

L'Italia investe meno di altri Paesi in Ricerca e Sviluppo: 1,33 % del PIL nel 2015, contro una media europea pari a 2,03 % (fonte Eurostat). Inoltre, ha un numero inferiore di ricercatori rapportato alla popolazione: nel 2015, la percentuale dei ricercatori ogni mille occupati in Italia era pari al 4,73 %, contro una media europea del 7,40 % (fonte OECD).

Tuttavia, l'analisi del posizionamento internazionale del Paese in termini di performance della ricerca pubblica evidenzia un buono stato di salute, anche ottimo per certi versi. La quota sul totale della produzione scientifica italiana delle pubblicazioni su riviste eccellenti (presenti nel top 5 % internazionale in base al fattore di impatto) è superiore alla media mondiale (fonte Report ANVUR 2016).

Analogamente, nel periodo 2011-2014, l'impatto della produzione italiana risulta superiore alla media dell'Unione Europea. L'Italia è posizionata poco sotto gli Stati Uniti per impatto medio, ma con valori molto superiori per quota di pubblicazioni su riviste di eccellenza. In sintesi, se si guarda alla qualità della produzione scientifica italiana, risulta elevata in rapporto alla spesa pubblica e privata in ricerca.

È fondamentale sottolineare che gli investimenti in ricerca che lo Stato veicola agli enti e alle università hanno un immediato effetto moltiplicatore, grazie alla capacità di acquisire risorse europee e da Agenzie internazionali, oltre che da privati. Tutti i finanziamenti dello Stato vengono spesi fino all'ultimo euro, e spesso non consentono neppure di coprire interamente i costi di funzionamento delle strutture.

Enti e atenei ricevono finanziamenti dallo Stato e rendono conto del modo in cui li spendono, dei risultati che ottengono, della loro capacità di contribuire all'avanzamento delle conoscenze e all'innovazione del Paese: infatti, sono sottoposti a valutazioni mirate e dettagliate sulla produttività scientifica, che consentono di indirizzare con più efficacia le risorse e di competere a livello internazionale.

"Chiediamo più risorse per poter essere sempre più competitivi, per poter affrontare le grandi sfide internazionali e per consentire l'inserimento di giovani ricercatori nel sistema", afferma Massimo Inguscio.

"I successi della ricerca italiana sono, da decenni, basati sullo sforzo di giovani e meno giovani. Ricercatori che formiamo al livello dei Paesi in cima alle classifiche, ma che ogni anno rischiamo di perdere per le difficoltà di reclutamento", sostiene Gaetano Manfredi.

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