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Rischio idrogeologico: l'Italia può imparare a conviverci

Convivere con il rischio, garantendo la massima sicurezza della popolazione, risparmiando un bel po' di soldi e diventando, una volta tanto, un modello internazionale: quando si parla di frane e alluvioni, la scelta di Ancona può essere la soluzione migliore per evitare di ritrovarsi ogni volta a piangere sulla pioggia versata.

Veduta di Ancona. L'area verde sulla destra, vicino al porto, è la zona interessata dalla frana.
Immagine di pubblico dominio: https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Giacomus~commonswiki
Viviamo in una penisola che è un catalogo di grandi rischi. Le condizioni di insicurezza idrogeologica sono presenti in ben 6633 Comuni, l'82 % del totale, con una superficie da allarme rosso, per frane e alluvioni, pari al 9,8 %. In oltre 1000 municipi ci sono abitazioni in aree franose.

Nel 31 % delle zone più fragili sono sorti interi quartieri; nel 56 % fabbricati industriali che, se colpiti, metterebbero a rischio, oltre che la vita dei dipendenti, anche l'ambiente per l'eventualità di sversamenti di inquinanti. Nel 20 % dei casi, in piena zona a rischio idrogeologico ci sono strutture sensibili, come scuole, ospedali, municipi, mentre nel 26 % troviamo anche alberghi e centri commerciali.

Solo per riparare i danni e risarcire le vittime, lo Stato spende ogni anno circa cinque miliardi di euro. Si può mettere fine ad una lunga e triste storia di interventi eseguiti solo in emergenza, dopo catastrofi immani?

  • Il modello, unico nel suo genere, di Ancona
Forse la soluzione c'è, e ce l'abbiamo in casa: seguire il modello di Ancona, dove si è imparato a convivere con la frana grazie ad un sistema di allerta precoce. In tutta Europa c'è una sola soluzione simile a quella adottata qui, ma si trova in una zona disabitata di un fiordo norvegese, dove si teme che la frana possa scatenare un effetto tsunami.

Ancona, invece, è l'unico posto dove una popolazione di oltre 60 famiglie vive sopra una frana che, sebbene lentamente, non ha mai smesso di muoversi. Ecco perché è meta di viaggi di studio per geologi e tecnici della protezione civile di mezzo mondo.

Il 12 dicembre 1982 la collina Montagnolo inizia a scivolare verso il mare, a causa delle forti piogge. La sua corsa si arresta dopo circa dieci ore: per fortuna non ci sono vittime, ma la frana ha travolto case, negozi, ospedali, strade e ferrovie. Una volta passata la prima emergenza, le indagini geologiche e geotecniche stabiliscono che il consolidamento della frana è inaccettabile, sia dal punto di vista economico, sia per il forte impatto ambientale.

Che fare allora? La scelta è stata realizzare una rete di monitoraggio costante e accurato, da usare per alimentare un sistema di allerta precoce, capace di far scattare, in caso di necessità, un'evacuazione nei tempi necessari a garantire l'incolumità degli abitanti.

Invece dei 60 milioni di euro necessari per la stabilizzazione, la strumentazione impiegata per i rilevamenti è costata 1,5 milioni. A questi si aggiungono, ogni dieci anni, un milione per la manutenzione e 800mila euro per la gestione.

  • Una ragnatela di sensori
Scendiamo un po' in dettagli tecnici. Tre colonne sondano gli spostamenti delle viscere della terra fino ad una profondità di 96 metri. Queste colonne sono formate da moduli in acciaio della lunghezza di un metro, uniti da speciali giunti deformanti, che ospitano 85 inclinometri (per misurare la pendenza), due sensori piezometrici (per misurare la pressione), 85 sensori di temperatura e una bussola digitale.

Una seconda modalità di monitoraggio avviene grazie ai satelliti, che vigilano dall'alto sugli spostamenti del terreno attraverso 34 antenne GPS: 26 sono disposte sulle case abitate e 8 su specifiche cabine situate sia all'interno del perimetro della frana che al di fuori.

Ci sono anche sette stazioni topografiche automatizzate di alta precisione, che puntano costantemente i loro raggi infrarossi contro i 230 prismi di riflessione collocati sulle case abitate e sulle infrastrutture della collina.

Passiamo ai 20 sensori clinometrici Nivel, posti sulle case e sulle cabine di monitoraggio, che possono verificare i movimenti con una sensibilità misurabile al decimo di millimetro. Infine, per tenere sotto controllo il più pericoloso dei nemici, la pioggia, ci sono due stazioni meteorologiche che analizzano il volume delle precipitazioni.

Tutte le informazioni convergono nella centrale di registrazione, attraverso due diversi sistemi di trasmissione dei segnali, in modo da non rimanere senza informazioni nel caso uno dei due abbia problemi tecnici. Il primo è costituito da una rete WiFi Standard HiperLan, il secondo da un circuito GSM-CSD.

Gli strumenti sono tarati su movimenti maggiori di 1-5 millimetri, a seconda dei casi, in modo da poter scartare tutti i segnali al di sotto di questo intervallo. Se avviene un movimento maggiore, lo strumento si attiva e manda un segnale ad una centralina di registrazione. Da qui, a sua volta, parte un impulso via modem, che attiva due chiamate telefoniche a due componenti del Gruppo di controllo.

Nel caso di un moviemnto reale, si attiva quindi il Centro operativo comunale, che predispone sopralluoghi e misurazioni sul posto ed, eventualmente, avvia in contemporanea il piano di evacuazione.

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