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Inquinamento marino: dov'è finita la plastica scomparsa?

Secondo lo studio più completo sull'inquinamento da plastica dei mari, mancano all'appello grandi quantità di rifiuti. Potrebbe trattarsi di affondamento o spiaggiamento, ma l'ipotesi peggiore prevede l'ingresso dei microframmenti nelle catene alimentari degli organismi marini, con ripercussioni drammatiche sugli interi ecosistemi e sull'industria della pesca.

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Immagine di pubblico dominio
5250 miliardi di frammenti galleggianti, per un peso di circa 268.940 tonnellate. Sono il risultato delle stime fornite dallo studio, realizzato dai ricercatori del 5 Gyres Institute, sull'inquinamento da plastica degli oceani. Per la prima volta sono stati analizzati e confrontati i dati provenienti da ogni mare del globo.

Nonostante l'emisfero settentrionale produca molte più plastiche, e quindi ne abbandoni in mare una maggiore quantità, sembra che l'azione delle correnti abbia inaspettatamente ridistribuito i frammenti ad ogni latitudine, compresi i mari artici. Ma la sorpresa principale fornita dallo studio è stata la presenza relativamente bassa delle microplastiche sulla superficie dell'acqua: che fine ha fatto tutta la plastica mancante?

Le probabili cause di scomparsa delle microparticelle sono quattro:
  • la deposizione selettiva sulle coste
  • la frammentazione in frazioni ancora più piccole, e quindi impossibili da recuperare con gli strumenti utilizzati
  • il cosiddetto "biofueling", cioè l'accumulo di organismi marini sulla loro superficie, che ne potrebbe impedire il riconoscimento oppure farli affondare
  • l'ingresso nelle catene alimentari dell'ambiente oceanico.
Quali sono le conseguenze?
I frammenti microscopici di plastica che fluttuano negli oceani modificano l'ecosistema marino su più livelli. Innanzitutto, vengono aspirati dagli animali filtratori e mangiati in grandi quantità dai pesci, in particolare i piccoli pesci lanterna (Myctophidae). Pesce grande mangia pesce piccolo, di conseguenza, il contenuto del loro stomaco passa ai tessuti di animali che sono, a loro volta, mangiati dall'uomo.

Anche gli additivi industriali della plastica si possono accumulare nel tratto digestivo di molti animali. L'ingresso di questi composti nella catena alimentare può portare a concentrazioni sempre più grandi nei tessuti degli organismi marini, passando dal basso verso l'alto nella catena alimentare.

Altri animali marini ingeriscono anche i frammenti di plastica più grossi, che li possono avvelenare, o causare soffocamento, o blocchi intestinali mortali. In totale, si stima che più di un milione di uccelli e 100mila mammiferi marini muoiano ogni anno, a causa dell'ingestione di plastica o perché restano intappolati nei rifiuti.

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Immagine di pubblico dominio: https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Zuffe
Inoltre, il bioaccumulo di plastica nei tessuti dei pesci più grandi potrebbe comportare una costante assunzione di microplastiche da parte di chi mangia abitualmente pesce, crostacei, molluschi, ecc., con pericolose ripercussioni sulla salute. È vero che si tratta di piccole quantità, ma non bisogna dimenticare che i frammenti di plastica hanno la proprietà di raccogliere e accumulare alcune sostanze tossiche per l'uomo, come i policlorobifenili.

Tra l'altro, molti additivi delle principali plastiche in commercio sono considerati "distruttori endocrini", cioè possono alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e, in particolare, degli ormoni sessuali, causando un raggiungimento anticipato della pubertà nelle femmine, e una spermatogenesi diminuita nei maschi.

C'è una soluzione?
I progetti in corso per mitigare i danni causati dalla plastica negli oceani sono tanti, ma è difficile fornire un quadro della situazione attuale, soprattutto perché molte delle istituzioni coinvolte sono fondazioni private, spesso basate su donazioni volontarie.

Nel Mediterraneo, il punto di riferimento è "Expédition MED". È un'associazione composta da ambientalisti, scienziati, artisti e insegnanti, e si occupa della raccolta di dati scientifici e della creazione di una rete di centri di ricerca e gruppi ambientalisti. Lo scopo è tutelare la biodiversità marina nel Mediterraneo e lottare contro i rifiuti nel mare.

Qualche effetto si sta vedendo: in questi ultimi anni, si è fatto tanto per ridurre l'uso della plastica, con l'Italia in prima fila nel bandire le tradizionali buste della spesa. È iniziata una massiccia commercializzazione delle bioplastiche e di altri materiali sostitutivi, biodegradabili e riutilizzabili, oltre alla nascita di negozi che vendono solo prodotti alla spina, seguendo la filososfia zero packaging.

E, forse, è proprio sulla sensibilizzazione del pubblico che vanno indirizzati gli sforzi maggiori: perché l'unica risposta, per il futuro, è fermare l'inquinamento all'origine.

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